venerdì 12 ottobre 2007

La Chiesa cattolica in Australia










La Chiesa Cattolica in Australia aveva un volto molto diverso cinquant’anni fa. Vi era un numero sufficiente di clero autoctono, e con esso un numero ragguardevole di sacerdoti di origine irlandese. Inoltre grazie alla presenza di opere di carattere sociale (ospedali, ospizi, case di cura o di riabilitazione), negli anni subito dopo la Guerra Mondiale anche grazie all’ apporto dei nuovi emigranti cattolici, era avvenuta un’enorme espansione del numero di parrocchie e di attrezzature parrocchiali. A Melbourne, l’ Arcivescovo Mannix, tra il 1945 ed il 1965 aveva aperto 70 nuove comunità parrocchiali. Il ritmo di espansione e di sviluppo era sostenuto dai contributi dei fedeli. Oltre alle numerose scuole cattoliche vi era una sottocultura religiosa rappresentata dalle numerose associazioni che raggruppavano varie categorie di operai, professionisti e giovani cattolici.
Cinquant’anni dopo la stessa Chiesa Cattolica appare profondamente trasformata. Si traccia un bilancio preoccupante, sottolineando gli aspetti più macroscopici: l’abbandono del loro status sacerdotale o religioso di molti sacerdoti o consacrati; la chiusura di case di formazione e di diversi seminari; la gestione delle scuole cattoliche affidata ai laici; la partecipazione alla Messa domenicale, che si avvicinava al 60% negli anni ’50, scesa al 14%; il senso di appartenenza alla Chiesa Cattolica per i cattolici, giovani famiglie e i giovani in generale, concepita al di fuori degli insegnamenti ufficiali; l’immissione di nuove culture cattoliche provenienti da moltissimi paesi diversi non recepita nella sua ricchezza pentecostale e infine, aggiunge Dixon, il ruolo della donna e del laicato che stenta a decollare.
Di fronte a questa profonda trasformazione dei quadri, funzionanti solo 50 anni fa, molti si chiedono quale sarà il futuro della Chiesa in Australia: l’immissione sempre più rapida di sacerdoti “stranieri”, l’emergenza, documentata da studi, a livello di senso di appartenenza e di adesione agli insegnamenti della Chiesa, da parte di comunità etniche soprattutto se provenienti dall’Asia e l’affermarsi di movimenti come il Cammino Neo-Catecumenale, il Movimento Carismatico, il Thomas Moore Center a Melbourne ed altri aprono varchi di speranza.

Il cattolicesimo australiano é stato sollecitato ad uscire dalla sua insularità e da una dipendenza pluridecennale dal modello irlandese. Con gli emigranti europei, anche gli emigrati italiani hanno partecipato, forse inconsapevolmente, ad un’opera di ampliamento degli orizzonti limitati esistenti all’interno della Chiesa Cattolica e ad un impegno che mirava, pur attraverso lentezze e rifiuti, a costruire una chiesa più aperta e più cattolica.

Non si vede ancora la fine di questo impegno. Anzi.
L’arrivo di numerosissimi altri gruppi, meno consistenti e con alle spalle una esperienza religiosa sofferta nei loro paesi (Vietnamiti, Ucraini, Polacchi, Sudanesi, Medio Oriente ecc...) può avere un effetto benefico su una società gaudente e secolarizzata come l’Australia e su una Chiesa che parla troppo spesso di crisi, di declino, di perdite reali e incontrovertibili, una Chiesa ustionata dalla scomparsa di un passato “glorioso” nella sua storia. Questo passato glorioso, però, non può essere considerato né l’unico modello di Chiesa possibile, né il più valido. Nel giardino di Dio, secondo l’immagine usata da una commissione anglicana, vi sono fiori che appassiscono, ma vi sono anche fiori che rinascono e con colori diversi.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

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