sabato 20 ottobre 2007

La fatica di una pastorale ai migranti

Un breve accenno, incompleto sicuramente, sulla chiesa australiana di fronte al problema migratorio.
All’inizio dei consistenti flussi migratori dall’ Italia negli anni ’50, la Santa Sede nel 1952 pubblica il documento “Exsul Familia”. Lo studioso Frank W. Lewins nota che il documento non viene né tradotto, né pubblicato in Australia. Il sacerdote australiano Frank Mecham giustifica la posizione assenteista dei vescovi australiani con la motivazione:“che già possedevano un sistema che funzionava in maniera soddisfacente e confacente alle loro esigenze. Non pareva giusto adottare un sistema diverso”. Il sistema in vigore riguardava la promozione e l’inserimento nella società australiana di emigranti e rifugiati, conforme alle politiche governative del Paese. Gli eventuali sacerdoti stranieri che desideravano dedicarsi alla cura pastorale di emigranti venivano praticamente considerati alla stregua di assistenti dei parroci sui quali, e solo su di loro, cadeva la responsabilità morale di provvedere agli interessi spirituali dei cattolici stranieri. L’esperienza delle parrocchie nazionali nel Nord America, ritenuta nociva alla coesione delle comunità cattoliche in Australia, non venne accettata. La giustificazione adottata non convince per la sua precarietà storica. É evidente che, mancando chiare direttive dalla Conferenza nazionale dei Vescovi Australiani sul ruolo ed azione pastorale dei cappellani per gli emigranti, a questi vennero lasciate poche scelte: o lavorare partendo dal contesto parrocchiale, con tutti gli impegni specifici relativi (come nel caso degli Scalabriniani e Cappuccini) e, contemporaneamente, farsi carico di attività svolte a beneficio delle comunità etniche. oppure operare in sintonia con i centri religiosi, voluti e costruiti grazie al lavoro e alle risorse di comunità etniche, senza che questi fossero equiparati al sistema parrocchiale. É inutile aggiungere che un simile metodo é stato all’origine di non pochi fraintendimenti, soprattutto nei primi anni. Particolarmente “penalizzati” sono stati i cappellani singoli di collettività non numerose. Attualmente, come in passato, molte delle cappellanie sono tuttora gestite da membri di congregazioni religiose. Per quanto riguarda la comunità italiana, diverse Congregazioni religiose si attivarono per offrire un’assistenza religiosa. Una inchiesta approfondita, condotta nel 2002, ha evidenziato il coinvolgimento, a livello pastorale, di circa 15 congregazioni, sia maschili (Padri Cappuccini, Gesuiti, Salesiani, Benedettini, Scalabriniani, Francescani, Passionisti, Paolini, Missionari Colombani) che femminili (Suor Canossiane, Claretiane, Suore di S. Anna, Figlie del Sacro Cuore). Accanto a questo sforzo si inserirono alcuni sacerdoti secolari inviati dalle Diocesi italiane.